CURIOSITÀ E FALSI MITI

Nell'affascinante mondo della distillazione e produzione di liquori artigianali, ricco di tradizioni e insegnamenti tramandati, non potevano certo mancare tesi, teorie e convinzioni popolari, che a volte ci azzeccano e a volte meno. Nel seguito, qualche simpatica curiosità o improbabile falso mito.

Nocino o Ratafià?

Diciamolo subito: non è vero che il nocino è prodotto con l'alcol e il ratafià con la grappa e non è nemmeno corretto pensare che il primo sia il termine in italiano mentre il secondo in dialetto ticinese.

Il nostro tradizionale liquore altro non è che un ratafià alle noci o meglio, al mallo di noce. Il termine ratafià in effetti è un nome più generico di nocino, che sta ad indicare un qualsiasi liquore ottenuto dalla macerazione di zucchero e qualsivoglia tipo di frutta in una soluzione alcolica. Ciò, indipendentemente dal fatto che quest'ultima sia grappa oppure ottenuta miscelando acqua ed etanolo. In altre parole, liquori come il limoncello, il mirto, il laurino, il nocino e chi più ne ha più ne metta, sono tutti dei ratafià.

Una delle descrizioni della nascita di questo termine, sostiene che all'origine del nome ratafià si trovino le parole latine rato fieri, che significano: farne ratifica, ratificare. Un tempo infatti, definiti i termini di un accordo tra due parti, era usanza suggellare il patto e in un certo senso ratificarlo, facendo un brindisi, quasi sempre, con un liquore. Da qui il nome associato alla bevanda: ratafià.

Si consideri che la produzione di ratafià alle noci era nota in Francia ed in seguito in Italia, in particolare in Emilia-Romagna, ben prima che in Ticino, dove arrivò indicativamente nella seconda metà del 1'800. È possibile, benché questa sia solo un'ipotesi dello scrivente, che l'unico liquore prodotto in Ticino nel XIX secolo fosse quello alle noci e che si sia quindi, erroneamente, associato il termine ratafià a questo particolare liquore.

Dunque, brindate e suggellate sempre i vostri patti con un buon bicchiere di nocino, il vostro amato e tradizionale ratafià alle noci.

Privilegiati e non saperlo!

Poco sopra si parlava di ratafià, fatto con alcol oppure con grappa. Vi siete mai chiesti perché sovente in Ticino si produca il nocino col distillato d'uva o di vinaccia mentre in Italia lo si faccia quasi sempre partendo dall'alcol puro? Come mai le regioni d'Italia grandi produttrici di liquori artigianali usano praticamente sempre l'etanolo mentre noi qui, in questo spicchio di Svizzera italofona, ci permettiamo il lusso di preparare i nostri liquori con la grappa?

Non è una questione economica e nemmeno di gusti, la risposta è semplice: perché in Svizzera procurarsi qualche litro di grappa artigianale è molto più facile che in altri posti. Nella patria di Guglielmo Tell potete in effetti portare la vostra frutta fermentata presso una distilleria autorizzata, che procederà per voi alla distillazione, restituendovi l'acquavite ottenuta. In Ticino in particolare è addirittura possibile recarsi presso distillerie consortili (munite di specifiche concessioni rilasciate dall'Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini) e procedere personalmente alla distillazione della materia prima fermentata. Ebbene, in molte nazioni a noi vicine invece, come le citate Italia e Francia, semplicemente ciò non è permesso, in questi paesi possono produrre distillati, legalmente, unicamente i professionisti, muniti di regolare certificazione e licenza.

Naturalmente questo fatto porta ad una diffusione molto maggiore nella Svizzera italiana di distillati artigianali ed è per questo motivo che in Ticino, per il dilettante che desidera produrre il proprio liquore, diventa relativamente facile procurarsi un po' di grappa nostrana e mettersi all'opera. Poter produrre i propri distillati, per giunta di persona, è senza dubbio un privilegio che il ticinese, forse, non sa nemmeno di avere e che in ogni caso farà bene a difendere.

La grappa di albicocche: non esiste!

Il ticinese medio si commuove quando, percorrendo la vecchia linea ferroviaria alpina, al di là del Gottardo vede per tre volte consecutive la chiesetta di Wassen, è incapace di simpatizzare per l'altra squadra hockeistica cantonale quando quella del suo cuore è fuori dai giochi, ma soprattutto, è maestro indiscusso nell'arte di prendere in prestito termini della lingua italiana e non, per poi farne senza timori un uso improprio.

Noi ticinesi parliamo di grappa di albicocche, grappa di ciliege, di cachi, di pere e di qualsiasi altra cosa abbia portato, solitamente tramite distillazione, ad una bevanda spiritosa. Ebbene, in quel momento stiamo bistrattando il termine grappa e il suo corretto significato.

Il nome "grappa" è una denominazione protetta, come lo sono per intenderci i termini Champagne, Cognac, Tequila e via di seguito. Un regolamento del Consiglio Europeo unitamente ad un accordo stipulato tra la Comunità Europea e la Confederazione svizzera, sanciscono che la denominazione "grappa" è riservata ad acqueviti prodotte esclusivamente attraverso la distillazione di vinacce e che sia la produzione dell'uva che ha generato tali vinacce, sia la distillazione delle stesse devono avvenire rigorosamente in Italia o nella Svizzera italiana. Nello specifico, nel Canton Ticino le denominazioni "Grappa del Ticino" e "Grappa ticinese" sono consentite unicamente per acqueviti ottenute con vinacce prodotte e distillate su suolo cantonale.

Detto in altri termini: un'acquavite ottenuta da uva ticinese, intesa come comprensiva di mosto e polpa, così come da vinacce ticinesi ma distillate in altre regioni linguistiche della confederazione, non può essere ufficialmente chiamata "grappa" e tanto meno "grappa ticinese". Naturalmente, se non è corretto utilizzare il termine grappa per un distillato d'uva, ancor meno lo potrà essere per i distillati prodotti con altri tipi di frutta.

Cari amici ticinesi, è vero, noi ci capiamo e potrebbe anche andare bene così, ma rimane certamente buona cosa sapere che: la grappa di albicocche non esiste.

Come non degustare un distillato

Se avete esperienza nella degustazione di vini, sapete bene che l'olfatto è il senso maggiormente utilizzato per raccogliere informazioni sul prodotto in esame. Il vino versato nel bicchiere viene annusato inizialmente senza particolari movimenti ed introducendo il naso nel calice, andando a cogliere i profumi primari e più evidenti, inspirando generosamente. Poi, si va ad ossigenare il prodotto, roteando il bicchiere e portando il vino ad aprirsi e rivelarci altri sentori, in un primo momento più nascosti.

Nella degustazione di un distillato invece, occorre prestare attenzione e gestire al meglio l'importante presenza di alcol ed in particolare limitare per quanto possibile l'evaporazione di quest'ultimo. Vapori alcolici troppo intensi aggrediscono infatti i nostri recettori olfattivi, stordendoli e compromettendo la loro capacità di cogliere profumi. Degustando un distillato dobbiamo quindi cercare di contenere l'evaporazione alcolica, cosa che facciamo ad esempio utilizzando il classico bicchiere a tulipano che presenta un allungamento superiore piuttosto stretto. Poi, annusando il prodotto, dobbiamo avvicinare il bicchiere al naso lentamente e prendere piccoli sorsi d'aria, senza arrivare ad introdurre completamente il naso nel contenitore. Risulta quindi importante, sempre per la medesima ragione, non cadere nel gesto abituale riservato al vino di far roteare con decisione il calice, perché questo innescherebbe un indesiderato e troppo intenso rilascio di vapori alcolici che v'impedirebbe di cogliere il meglio dalla vostra bevanda spiritosa.

1 + 1 ≠ 2: VERO

Una delle operazioni che spesso è chiamato a fare il produttore di bevande spiritose, è quella di aggiungere acqua al prodotto distillato per portarlo alla percentuale di volume alcolico desiderata. Lo sapevate che miscelando 1 litro d'acqua con un 1 litro di etanolo non si ottengono 2 litri di sostanza liquida? Senza trucco e senza inganno, vi troverete infatti con poco più di 1.9 litri di soluzione alcolica. Questa, non è magia, bensì un fenomeno noto dovuto a più fattori.

Gettando brevemente uno sguardo alla chimica, scopriamo che una delle ragioni che porta a tale risultato è il fatto che quando acqua ed alcol etilico vengono mescolati si sviluppano differenti forze intermolecolari e in particolare che l'idrogeno, generando dei legami forti, porta le diverse molecole ad avvicinarsi maggiormente tra di loro. Inoltre, nella soluzione alcolica, gli spazi vuoti solitamente presenti tra le molecole dell'acqua saranno molto meno diffusi, in quanto le molecole di etanolo tenderanno a riempire tali spazi.

Ci perdonino i chimici per la brutale semplificazione ma la faccenda è un po' come se mescolassimo per bene un metro cubo di ghiaia con un metro cubo di sabbia, non otterremo in effetti due metri cubi di sostanza solida. Questo, perché la sabbia andrebbe ad occupare gli interstizi vuoti che prima c'erano tra i granelli di ghiaia. Provare per credere.

Un distillato non deperisce mai: FALSO

A volte capita di chiedersi se anche un superalcolico può subire gli effetti del tempo e deperire oppure se, grazie all'elevato contenuto alcolico, esso non degraderà mai. Purtroppo la risposta è: sì, anche le bevande spiritose si possono alterare nel tempo. L'elevato contenuto di etanolo può infatti impedire la formazione di muffe o altre sostanze indesiderate ma nulla può contro l'ossidazione della bevanda e la sua perdita di aromi. Quando il distillato, o liquore che sia, entra in contatto con l'aria, ha inizio un lento ma continuo processo di ossidazione e perdita di aromi, lento all'inizio e progressivamente più veloce. Tali fenomeni saranno tanto più marcati quanta più aria entra in contatto con la bevanda. In altre parole, pensando ad una bottiglia aperta, più sarà vuota la bottiglia di distillato e tanto più in fretta il prodotto si appiattirà e perderà la sua fragranza ed i suoi aromi. Una bottiglia chiusa e sigillata, tenuta al fresco e al riparo dalla luce, potrà quindi mantenersi in buono stato per diversi anni ma una volta aperta sarebbe consigliato gustarla nel giro di pochi mesi.

Per ingerire meno alcol beviti un grappino: VERO

Siamo in tre, al bar, decidiamo di ordinare una birra alla spina, un bicchiere di vino e un bel cicchetto di grappa. Al termine della bevuta chi di noi avrà ingerito più alcol? Istintivamente, quale sarebbe la vostra risposta?

Andiamo a verificare, considerando dei valori diffusi per la capienza dei bicchieri di birra, vino e grappa ed assumendo delle frazioni di alcol tipiche nel volume delle tre bevande, diciamo 4.8% del volume costituito da alcol per la birra, 12.5% vol. per il vino e 46% vol. per la grappa. Facciamo ora due conti:

Birra: bicchiere da 30 cl x 4.8% = 1.44 cl di alcol

Vino: bicchiere da 10 cl x 12.5% = 1.25 cl di alcol

Grappa: bicchiere da 2 cl x 46% = 0.92 cl di alcol

Conclusione: per ingerire meno alcol, bevetevi un grappino!

Attenzione: consumare le bevande alcoliche sempre con moderazione.

Per distillare c'è sempre tempo: FALSO

Nell'affascinante mondo dei distillatori amatoriali, non è raro confrontarsi con convinzioni che poi, indagando un po' e consultando qualche fonte attendibile, si rivelano essere errate. Una di queste è certamente la credenza che una massa di frutta fermentata, chiudendo per bene il coperchio del suo contenitore, possa essere conservata anche per un paio di anni prima di essere portata in distilleria, convinti che l'alcol contenuto possa conservare inalterata la materia prima fermentata. Purtroppo no, non è così.

Facciamo un semplice confronto ed arrotondiamo un poco le cifre per facilitare i conti. In un ettolitro d'uva fermentata si trovano circa 5 litri di etanolo puro, il che significa un contenuto alcolico in volume pari al 5%. Troviamo questo tipo di concentrazione alcolica tipicamente nelle birre, che come sappiamo non hanno un periodo di conservazione illimitato e che dopo 9-12 mesi in bottiglia possono iniziare a presentare opacità indesiderate o muffe. Ora, considerando che della birra introdotta in una bottiglia perfettamente sterilizzata e chiusa in modo assolutamente ermetico si degrada dopo al massimo 12 mesi, possiamo ragionevolmente pensare che della frutta fermentata posta in un contenitore probabilmente non altrettanto ben sterilizzato e forse non così perfettamente ermetico rimarrà priva di difetti o tracce di muffe per 24 mesi? Probabilmente no, il mito che l'alcol presente nella frutta fermentata conservi la stessa inalterata per anni: non ci convince.

Se l'è par fa grapa la va sempro ben: FALSO

Un tempo dalle nostre parti il consumo di grappa era molto più diffuso, si utilizzava la grappa per curare i malanni di uomini ed animali e soprattutto si beveva grappa non solo per il piacere ma, probabilmente, anche per combattere il freddo e le fatiche. La grappa, ottenuta in fondo dagli scarti della vinificazione, è nata come prodotto povero e metodo per valorizzare e sfruttare fino in fondo l'uva prodotta con tanta fatica. In Ticino, fino a non molti anni fa, l'uva difettosa veniva messa da parte ed utilizzata, unitamente alle vinacce, per fare della grappa. Si usava dire: "lasala lì, che la duperum pö par fa grapa" oppure "se l'è par fa grapa, la va sempro ben".

Niente affatto, oggi si stima che la qualità della bevanda spiritosa dipenda per circa l'80% dalla materia prima macerata. La frutta destinata alla distillazione deve pertanto essere sana, pulita e matura al punto giusto.

Frutta caduta al suolo e non lavata può trasportare alcuni batteri della terra che portano alla formazione di acroleina, sostanza tossica e pungente difficile da togliere dal distillato. Frutta ammuffita può portare alla formazione muffe durante la fermentazione, che tendono a generare difetti nell'aroma o toni di muffa nel distillato finale. Questi, solo per citare alcuni dei difetti che una materia prima non di qualità potrebbe generare.

Un alambicco può in un certo senso essere visto come un dispositivo concentratore di essenze, altrimenti detto, se mettiamo sostanze difettose nella sua caldaia, oltre all'etanolo andremo a concentrare anche queste sostanze e troveremo, come logica conseguenza, acqueviti difettose nei nostri bicchieri.

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